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Che basi ha il referendum autonomista lombardo?

Prosegue l'analisi  dei fondamenti e delle conseguenze del referendum autonomista lombardo a cura di Alex Storti, membro del collettivo Avanti.
Bandiere lombarde sventolano orgogliose al gran premio di Monza

In un precedente articolo abbiamo analizzato la natura della Deliberazione di Consiglio Regionale 638 del 17 febbraio scorso, con cui l'Assemblea del Pirellone ha indetto il referendum consultivo sull'autonomia differenziata per la Lombardia.
La richiesta di maggiori poteri si inserisce nel contesto dell'attuale art. 116 della Costituzione italiana, che prevede la possibilità, da parte di una Regione, di chiedere l'attribuzione di più competenze rispetto a quelle ordinarie già previste.
In questo articolo ci soffermeremo su quali siano le specifiche basi giuridiche lombarde del referendum autonomista; domani spiegheremo, in un altro approfondimento, per quale motivo, a nostro giudizio, esso non sia incostituzionale.


Ricordiamo che il referendum è stato indetto in forma propedeutica dal Consiglio, in forza dell'art. 25, commi 1 e 2, della legge regionale 34 del 1983, che disciplina l'istituto referendario. In particolare, il primo comma afferma che

"Il Consiglio regionale, prima di procedere all'emanazione di provvedimenti di sua competenza, può deliberare l'indizione di referendum consultivi delle popolazioni interessate ai provvedimenti stessi".


Tale norma va letta in combinato disposto con i dettami dello Statuto Regionale della Lombardia. La legge fondamentale che regola la nostra comunità prevede infatti, all'art. 52, che

"Il Consiglio regionale, a maggioranza dei due terzi dei componenti, può deliberare l'indizione di referendum consultivi su questioni di interesse regionale, o su provvedimenti interessanti popolazioni determinate".


L'insieme delle due norme fa sì che il Consiglio, in relazione alla propria sfera di competenza, possa decidere di far supportare il proprio orientamento legislativo da una scelta popolare. In questo caso, lo strumento referendario non ha natura abrogativa, bensì consultiva e, in quanto tale, rafforzativa della sovranità del Consiglio. È come se la massima assemblea della comunità lombarda chiedesse a tutta la cittadinanza di unirsi ad essa nel deliberare una legge. Considerando poi che il referendum consultivo lombardo ha natura preventiva, il parere popolare assume un carattere ancor più importante: difficile per i consiglieri votare un provvedimento già bocciato dai cittadini, e difficile non adottarlo in caso di parere favorevole da parte del popolo.


Ma andiamo ancora più in là nell'analisi dei fondamenti giuridici del referendum autonomista.
Abbiamo visto che lo Statuto e la legge del 1983 prevedono espressamente la possibilità di fare ricorso alla consultazione popolare, per provvedimenti rientranti nella sfera dell'Assemblea del Pirellone. Ebbene, l'art. 14 dello Statuto, descrittivo delle "Funzioni del Consiglio Regionale", prevede, al primo comma, che esso "concorre alla determinazione dell'indirizzo politico regionale"; al terzo comma, lettera g), si dice poi che

"Spetta al Consiglio in particolare:
[...] g) deliberare in merito all'iniziativa e alla conclusione dell'intesa con lo Stato di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione"


Cosa si deduce da questa duplice previsione statutaria?
Due cose: la prima consiste nel fatto che il Consiglio riveste un ruolo istituzionale di attore coprotagonista, insieme alla Giunta, nella determinazione della politica generale della Regione Lombardia; la seconda ci dice invece che l'avvio dell'iniziativa regionale (e la relativa eventuale ratifica finale), inerente la richiesta di autonomia differenziata di cui all'art. 116 della Costituzione italiana, è rimesso al Consiglio Regionale.
Se leggiamo queste norme insieme a quelle citate in precedenza, riguardanti il referendum, possiamo avanzare un giudizio complessivo in merito alla cosiddetta ratio legis dell'istituto referendario lombardo, cioè in merito allo spirito della legge che i consiglieri hanno posto a fondamento della partecipazione civica. Tale giudizio consiste in questo: il referendum consultivo preventivo, con particolare riferimento alla richiesta di maggiore autonomia per la Lombardia, rappresenta una forma di esercizio della sovranità popolare rafforzata e non semplicemente delegata.


In altri termini, in Lombardia, sottoporre una questione di politica generale di grande importanza, non solo giuridica, ma anche simbolica, quale è la richiesta di devoluzione di poteri, rappresenta un atto degno di essere supportato da un mandato popolare diretto, espresso mediante referendum e non semplicemente delegato, in forza del mandato elettorale risalente alle precedenti consultazioni amministrative regionali. Si tratta di un aspetto importante e da non sottovalutare, se consideriamo l'ostilità più e più volte manifestata dai governi italiani (senza troppe distinzioni "ideologico-cromatiche"...) riguardo alla possibilità di consultare la singola popolazione di una specifica comunità in merito a tali tematiche. Lo stato italiano teme massimamente la possibilità che una scelta legata all'autogoverno sia oggetto di referendum, in quanto tale tipo di votazione non ha per definizione colore partitico. Si vota nel merito, non per appartenenze.


Domani, come anticipato, spiegheremo per quale motivo, anche alla luce di quanto sin qui esposto, il referendum autonomista lombardo non possa essere considerato incostituzionale. E, lo diciamo subito, si tratta di ragioni non soltanto di stretta legalità, ma anche creatrici di diritto, per così dire. Per ora ci limitiamo a ricordare che da oggi inizia il countdown finale per l'eventuale impugnativa da parte del Governo. Ancora dieci giorni. Avanti.

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