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Là dove c'era una citta europea ora c'è un pezzo di Sahara. Grazie davvero, almeno siete stati chiari


EDITORIALE - Di di Gioann March Pòlli 

E così, con supremo sprezzo del ridicolo e altrettanto disprezzo per il paesaggio e per l'architettura milanesi, Piazza Duomo a Milano è stata trasformata, con palme e banani pagati da Starbucks, in un pezzo d'Africa. Quando la piazza era quella raffigurata qui sopra, Paolo Conte scriveva quel celebre verso di "Azzurro": "Cerco un po' d'Africa in giardino, tra gli oleandri e i baobab". Chissà che cosa può pensare oggi di quella sua visione senza dubbio poetica per il suo giardino ma realizzata davvero in modo così pacchiano in uno dei salotti europei un tempo più belli e affascinanti, trasformato in discarica a cielo aperto per tutte le cretinerie à la page.
Non c'è scampo alla globalizzazione, sembrano ordinarci le multinazionali. Un ordine subito ben recepito e attuato dalle "sinistre" al governo che amano tanto il Continente Nero da volerne importare il più possibile là dove non c'era l'erba ma c'era comunque una città non certo tropicale.
Nel 1999, il sindaco Albertini commise da parte sua l'errore madornale di togliere le insegne luminose da Palazzo Carminati. Quei neon erano la storia di una città che ci credeva, investiva, produceva ed era - si diceva allora - MODERNA. Andati, persi per sempre. Ed oggi la modernità di piazza Duomo che ci resta è un paesaggio da cammelli e scimmie. Scenario perfettamente compatibile con le comparsate degli islamici quando scelgono il sagrato di Piazza Duomo - come è già accaduto - come palcoscenico per i loro salamelecchi. Quello che vedete ora, là dove c'erano quelle insegne, quell'albero di Natale e quel presepe della foto, è il perfetto specchio di quello che lorsignori vogliono per il nostro futuro. D'altra parte non ci dobbiamo affatto stupire. Ce l'avevano già detto chiaro e tondo. Quella sotto i nostri occhi è la plastica rappresentazione del sogno boldriniano dello "stile di vita dei migranti che presto sarà il nostro stile di vita". Soltanto "non c'è il leone, chissà dov'è". 
In compenso sappiamo benissimo dove si trovano quelli che sono stati leoni la sera prima. Sono lì, tronfi e gonfi, tutti ben insediati al loro posto a Palazzo Marino, a cinquanta metri dai palmizi a sorseggiare una tazza di brodaglia americana. Alla faccia del nostro nuovo deserto cittadino.

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