Passa ai contenuti principali

Perchè il referendum lombardo non è incostituzionale




Bandiere lombarde sventolano orgogliose al gran premio di Monza


Nei due precedenti articoli qui e qui sulla natura giuridica del referendum autonomista lombardo, abbiamo analizzato il quadro normativo complessivo in cui si situa la Deliberazione del Consiglio Regionale 638 del 17 febbraio 2015. E' giunto adesso il momento di rispondere alle due principali questioni sollevate dall'atto approvato dai consiglieri lombardi: il referendum è incostituzionale? perchè è stata scelta la strada referendaria, pur non essendo contemplata dall'art. 116 della Costituzione italiana?
A quest'ultima domanda risponderemo con un ulteriore approfondimento nei prossimi giorni. Oggi ci limitiamo, per così dire, a rispondere al primo quesito: è dunque legittima l'indizione di una consultazione popolare lombarda sull'avvio di una trattativa con lo Stato italiano per ottenere maggiori poteri?
La risposta, a parere di chi scrive, è SÌ. Sì sotto tre distinti profili. Vediamoli.
In primo luogo, la scelta del Consiglio Regionale lombardo di consultare preventivamente la cittadinanza non contrasta con la procedura prevista dall'art.116 della Costituzione italiana. Se quest'ultima, sia nel citato art. 116 sia in altre sue parti, non vieta un referendum consultivo regionale, non si vede per quale motivo l'indizione dello stesso dovrebbe ritenersi incostituzionale. Non sta scritto infatti da nessuna parte, in sede di Costituzione italiana, che la non previsione di un possibile passo procedurale -quale è, ad esempio, un referendum consultivo regionale-, nell'ambito della più ampia procedura di cui all'art. 116, debba corrispondere ad un implicito divieto.
In secondo luogo, il referendum consultivo lombardo rispetta pienamente le norme statutarie e referendarie regionali, come abbiamo dimostrato nei precedenti articoli, testi di legge alla mano. E poiché sia lo Statuto sia la legge del 1983 sulle consultazioni popolari non sono stati oggetto di impugnativa per incostituzionalità al tempo della loro promulgazione, un referendum che sia conforme ad essi è da considerarsi automaticamente conforme anche alla Costituzione.
Infine, eccoci al terzo e piu importante dei profili di costituzionalità del referendum autonomista lombardo. Una premessa: storicamente i tentativi di indire consultazioni autonomiste da parte di varie Regioni sono stati cassati dalla Corte Costituzionale, intervenuta su richiesta dei governi romani di turno, sulla base di un preciso ragionamento ideologico di tipo etnonazionalista. La Corte, infatti, ha teorizzato e stabilito l'illegittimità di consultazioni regionali che, avendo come obiettivo la modifica dell'assetto costituzionale italiano e lo spostamento di poteri dalle istituzioni centrali a quelle locali, fossero rivolte alle sole popolazioni delle Regioni promotrici. Il ragionamento etnonazionalista dei giudici costituzionali consiste dunque in questo: se la costituzione, anche nella parte relativa alle autonomie locali, riguarda il popolo italiano tutto, allora eventuali modifiche nei rapporti fra una Regione e lo stato devono essere sottoposte al voto di tutti i cittadini italiani.
Ho definito tale ragionamento "etnonazionalista", in quanto figlio di una concezione giacobina, secondo la quale le comunità politiche locali sono semplici ripartizioni amministrative di un unico territorio nazionale, abitato da un unico popolo in senso etnico.
Ma c'è un "ma", provvidenziale, inserito proprio nella stessa costituzione italiana. Un grosso "ma", destinato a rendere pienamente costituzionale l'indizione di un voto popolare sull'avvio delle trattative per l'autonomia asimmetrica.
In quell'art.116 ormai famoso si parla infatti, al contempo, della possibilità di avere un'autonomia differenziata e del fatto che tale opzione sia esercitabile su richiesta della singola Regione interessata. Ebbene, questi due aspetti -la asimmetria potenziale del regionalismo italiano, dopo la riforma costituzionale del Titolo V risalente al 2001, e il riconoscimento della soggettività regionale nell'iniziativa volta ad ottenere la citata differenziazione nel grado di autonomia- questi due aspetti, dicevo, giustificano pienamente il fatto che sia chiamata ad esprimersi, in un eventuale referendum, la sola popolazione della Regione interessata ad attivare la procedura dell'art.116.
È la stessa norma costituzionale a stabilire una differenziazione di interessi che, di fatto, introduce un elemento di distinzione fra singole comunità regionali e, quindi, fra le popolazioni delle stesse. Per quanto possa restare affascinante, per gli strenui difensori dell'unità "nazionale", il concetto di "popolo italiano", quest'ultimo, o meglio il suo presunto carattere di indivisibilità, è stato decisamente messo in discussione proprio dalla riforma del Titolo V della Costituzione. L'autonomia differenziata, infatti, ben lungi dal limitarsi soltanto a rimodulare in via amministrativa i poteri di enti subordinati rispetto allo stato, ha semmai introdotto una forma di specialità giuridica parziale che, una volta ottenuta, da parte di Regioni scalpitanti e avanzate, come Lombardia e Veneto, si trasformerà in una condizione di alterità sostanziale, su un piano giuridico e politico, rispetto al monolite statuale italiano cui siamo abituati oggi.
In parole povere: la riforma del Titolo V ha introdotto un grado intermedio di autonomia fra quello ordinario e quello speciale; in particolare, l'art. 116 ha introdotto una procedura di differenziazione dell'autonomia ordinaria che vede protagoniste le Regioni interessate ad avere più poteri; le popolazioni di tali Regioni possono essere chiamate a supportare, per via referendaria, la suddetta procedura di differenziazione.
Alla luce di tale analisi, basata sul dato normativo e non su semplici opinioni, dobbiamo dedurre che il percorso iniziato il 17 febbraio in Lombardia sia conforme alle previsioni costituzionali italiane. Se c'è infatti un "luogo" del diritto in cui una piccolissima ma significativa secessione, quantomeno potenziale, si è già consumata, esso è ravvisabile nell'art.116 della Costituzione. Il referendum lombardo ne rappresenta soltanto la prima e necessaria conseguenza. Sta a noi cittadini lombardi, adesso, procedere lungo il sentiero in questione: sta a noi, adesso, riportare il governo a casa, pezzo per pezzo. Avanti.

Post popolari in questo blog

«Così ho visto arrivare in Brianza la ’ndrangheta». I ricordi del generale Boscarato

«IN QUEL TEMPO Monza e la Brianza erano afflitti dal fenomeno dei sequestri di persona. La ’ndrangheta stava mettendo le sue radici dopo che negli anni ’70 l’istituto del soggiorno obbligato aveva portato in questo territorio decine di malavitosi provenienti dalla Calabria. In un ambiente ricco come questo fecero salire al Nord i loro compari e si organizzarono». A raccontarlo un testimone d’eccezione: si chiama Sergio Boscarato, ha 76 anni e oggi è generale in congedo dei carabinieri. Fra il 1982 e il 1986, con il grado di tenente colonnello, fu comandante del Gruppo di Monza dei carabinieri.

"L’han giurato, li ho visti in Pontida"

Mezzago, l'ombra della malavita dalla Calabria sulla Stalingrado brianzola

Nemmeno Mezzago è immune alle infiltrazioni della criminalità organizzata. In quella che per percentuali elettorali si potrebbe definire la "Stalingrado della Brianza, si denota il fallimento della sinistra paladina della lotta all'illegalità.