Oggi ricorre l'anniversario del Giuramento di Pontida, quello storico. Quello di Alberto da Giussano contro il Barbarossa che voleva dominare quella che oggi è la Padania. L'unione fa la forza, si dice. Oggi, per ricordare questo giorno, proponiamo questo testo a cura di Chantal Fantuzzi del Movimento Giovani Padani. Ci aiuterà a capire cosa sia stato il Giuramento di Pontida.
L’han giurato, li ho visti in Pontida
Convenuti dal monte e dal piano.
L’han giurato e si strinser la mano
Cittadini di venti città.
Così si apre l’appassionato canto d’ispirazione storica, scritto nel 1829 dall’esule romantico Giovanni Berchet e ben presto divenuto specchio d‘esortazione patriottica contro il regime oppressore e fiscalista. Sì, poiché il 7 aprile 1167 gli esponenti di venti città lombarde si riunirono nel monastero di Pontida, ove giurarono di combattere, uniti, contro l’imperatore Federico Barbarossa, dopo che questi, esigendo, seppur di diritto ma anacronisticamente, le cosiddette regalìe (tributi che, tuttavia, i comuni non erano più atti a pagare da doversi secoli) aveva raso al suolo Milano nel 1158, dopo un secondo lungo assedio, ed aveva assediato Crema durante la cui presa erano state compiute numerose atrocità dai suoi soldati. Distrutta la roccaforte della resistenza padana, l’imperatore aveva obbligato gli alleati di Milano a distruggere ogni opera propria di difesa, di abbattere mura e torri, spianare fossati e consegnare castelli. Il capoluogo lombardo era tuttavia già inviso da alcune roccheforti limitrofe, prima fra tutti Lodi che, anni prima, aveva mandato due messi dall’imperatore stesso per lamentarsi delle mire espansionistiche della città nemica. Tuttavia, anche con i potentati avversari della città che in primis si era opposta a lui stesso, Federico non aveva mostrato segni di una ricercata alleanza anzi, non aveva esitato a rendere sudditi sia i Comuni alleati di Milano che i suoi nemici. Sottomessi ugualmente tutti i potentati dell’Italia settentrionale, l’imperatore aveva mandato i suoi vicari a governare le città, esigere le regalìe , reprimendo così ogni spirito di libertà. Tutto ciò poiché, durante la sua prima discesa in Italia nel 1154(quella che gli era costata il soprannome di ‘Barbarossa’), supportato da alcuni accademici di Bologna, aveva studiato il diritto romano e, riprendendo in mano del carte del Privilegium Othonis (Ottone I, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico aveva, due secoli innanzi, reso inscindibile il titolo di Re d’Italia con il titolo imperiale) si era convinto di poter reclamare ancora il trono della penisola italiana e di ricavare guadagno dalla tassazione dei Comuni. Non aveva tuttavia fatto i conti coi tempi, che erano mutati poiché mentre i precedenti Imperatori si erano trovati davanti un settentrione povero e sottomesso all’autorità regia, ora erano nelle città erano fioriti centri economici, culturali e militari abituati da tempo ad auto amministrarsi. In breve tempo, i soprusi compiuti dal Barbarossa, portarono tutti i Comuni della Pianura Padana a mettere da parte le vecchie angherie e a coalizzarsi in un fronte anti imperiale, complice Papa Alessandro III (al quale, una volta vittoriosi, i Comuni dedicheranno la città di Alessandria) e concordi i Normanni del meridione. Così su iniziativa di Bergamo, i Comuni giurarono di unirsi per riconquistare la perduta libertà. Venti giorni dopo il giuramento, aiutati dalle truppe bresciane e cremonesi, i milanesi scacciarono dalla loro città le truppe imperiali, ripristinando l’autorità dell’Arengo. Nove anni dopo, il 28 maggio del 1176, sui campi di Legnano, con la decisiva sconfitta dell’Imperatore, i Comuni avrebbero scritto la Storia, sancendo valore e vittoria in unico e comune ideale, la libertà.
Riscoperto nei primi secoli dell’Ottocento, il Giuramento di Pontida divenne simbolo della lotta contro l’oppressore e fu adottato dai primi patrioti, i cui ideali poi tanto sarebbero stati travisati da coloro che, acconsentendo agli scopi unicamente espansionistici dei Savoia, avrebbero unito l’Italia (cancellando così la di essa millenaria storia ducale e, soprattutto, comunale.) Se analizzato con l’ottica medievalistica, risulta invece essere segno della nascente Europa, diremmo oggi, dei Popoli, un’Europa frammentaria e identitaria, fortemente conservatrice ed orgogliosa della propria singola e variegata storia, riluttante alla sottomissione unitaria del potere accentratore e fiscalista. L’imperatore Federico forse all’epoca dei fatti non aveva compreso che il suo Impero universale, imposto con le armi, volgesse ormai al tramonto. Un nuovo panorama sociale, infatti, stava nascendo e in esso già albeggiavano le moderne istituzioni politiche. Poiché non vi futuro senza storia, né unità senza identità.
Testo a cura di Chantal Fantuzzi per www.mattinonline.ch