Proponiamo un articolo non fresco ma ancora attuale, datato 12 febbraio 2008 e tratto dal quotidiano "La Padania". Buona lettura.
Umberto Bossi e Gianfranco Miglio |
Insieme rilanciarono l’idea autonomista in Italia. Fra di loro un rapporto di profonda stima, che nemmeno alcune divergenze hanno mai cancellato.
Coraggio, idee forti, determinazione. Questo il minimo comune denominatore che lega Umberto Bossi e Gianfranco Miglio. Il leader politico carismatico e il professore universitario teorizzatore dell’Italia federale. Non “l’alunno” e il “maestro”, come in molti hanno voluto banalizzare, ma un rapporto più profondo, di stima reciproca che non è mai venuta meno, neanche quando le posizioni dei due si sono allontanate a causa di divergenze di vedute su alcuni fatti contingenti. Il Segretario della Lega Nord ha infatti riconosciuto i meriti intellettuali del senatore, scomparso nel 2001, molte volte durante i suoi discorsi, iscrivendolo di fatto nel Pantheon dei grandi del Carroccio. Tanti i suoi richiami, anche recenti, alle intuizioni del “Professur”, dalla rivolta fiscale rilanciata dal palco dell’ultima festa dei popoli padani di Venezia, al progetto delle tre macro-regioni Nord, Centro, Sud che sarà uno dei punti salienti della prossima campagna elettorale. Di converso, anche Miglio, pure negli anni nei quali decise di abbandonare l’impegno diretto con la Lega, non ha mai mancato di far sentire la sua vicinanza ad alcune battaglie ingaggiate dal movimento. Basti solo ricordare la “benedizione” che Miglio volle dare all’idea di una Padania indipendente, considerandolo un obiettivo pienamente lecito. Una sintonia di fondo, che è stata percepita molto chiaramente anche dalla base del Carroccio. Mai infatti, militanti e sostenitori hanno additato il senatore comasco come un “traditore” o un opportunista, ma al massimo come un intellettuale che su certe questioni la pensava diversamente. L’essere controcorrente e il non aver paura di assumere posizioni “scomode” e anti-sistema, del resto è un comportamento che ha caratterizzato l’esistenza di entrambi. Bossi ha consacrato la sua vita al movimento politico che ha costruito, vivendone ogni fase in prima persona e non venendo meno agli impegni assunti con il suo popolo nemmeno nei duri momenti della malattia. Miglio ha sacrificato la sua carriera sull’altare della coerenza verso idee che, purtroppo, in questo Paese hanno sempre incontrato resistenze e boicottaggi. «Non credo siano molti gli uomini politici che, come Umberto Bossi, hanno dovuto subire, da parte della stampa e della televisione, i danni di un sistematico processo di disinformazione», scriveva Miglio nella prefazione del libro autobiografico “Vento del Nord”, scritto da Bossi con Daniele Vimercati nel 1992. Una storia simile alla sua, che già negli anni sessanta diagnosticava lo scostamento della politica reale italiana dal modello di un autentico Stato di diritto rappresentativo-elettivo, attirandosi antipatie e diffidenze da parte dell’establishment della prima Repubblica. Un “regime” che continuò a bacchettare anche nei due decenni successivi, denunciando ben prima di Tangentopoli, le debolezze ed i difetti dell’ordinamento costituzionale italiano: dalla partitocrazia, al parlamentarismo inconcludente e al deficit decisionale. Considerazioni in qualche modo propedeutiche all’incontro avvenuto con Bossi all’inizio degli anni 90. Un “matrimonio” che lanciò sulla scena del dibattito politico contemporaneo l’idea federalista, cara ad entrambi, come volano per far uscire il Paese dalle sabbie mobili nelle del centralismo romano. Un progetto che trovò la sua sintesi nel celebre, e per molti versi ancora attualissimo, “decalogo di Assago”, presentato il 12 dicembre 1993 al secondo Congresso Nazionale della Lega Lombarda. Una delle tappe, sempre per usare parole di Bossi, che «hanno illuminato il cammino della Lega». E che continua a farlo ancora oggi, perché come ha più volte ricordato Umberto Bossi nei interventi: «Miglio oggi non c’è più, ma è come se fosse ancora insieme a noi».