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Siamo con Matteo. Ma questo stato è una democrazia?

Intellettuali e democratici di tutto il mondo, unitevi. Unitevi e stringetevi le mani, magari formando un girotondo. Come quelli che andavano di moda una volta. Li ricorderete tutti. Ma in questo paese, che è davvero una repubblica del menga, la democrazia viaggia a senso unico ed ha la precedenza solo a sinistra. Altrimenti, ironia della sorte, il semaforo che troverai sulla tua strada sarà sempre rosso. Uno stop permanente. Perchè se non sei di sinistra, in questo stato italiota, non puoi dire nulla. Devi rassegnarti a prendere sputi in faccia, ricevere sassate, subire minacce, vivere sotto scorta e sotto assedio dei centri (a)sociali. Tutti a sbrodolarsi di democrazia, ma tutti ad impedire ad un leader, Matteo Salvini, di svolgere i suoi comizi in santa pace. Questo è uno stato democratico? No, questo è uno stato in cui il presidente del consiglio è, per la terza volta, imposto dai poteri forti e non eletto da qualcuno. E' uno stato in cui la rappresentanza dei cittadini è stata ridotta con l'abolizione dell'elezione delle Province e del Senato. E' uno stato in cui il principale esponente dell'opposizione viene sistematicamente attaccato, anche fisicamente. Questa non è più una democrazia.

"Eroi" anti-leghisti, lanciatori di fumogeni contro mamme e bambini.


Proponiamo questo condivisibile e lucido articolo di Antonio Polito su “Il Corriere della Sera” del 17 maggio.
Strano, non si è ancora visto un manifesto-appello di intellettuali per difendere il diritto di parola di Matteo Salvini nelle piazze della Repubblica. Non sono comparsi bavagli simbolici per ricordare che a nessuno si può tappare la bocca in questo Paese. La cultura democratica non sembra molto scossa da questo stillicidio ormai quotidiano di piccoli ma non banali attentati alla democrazia: ché tali sono i tentativi di impedire, interrompere, sabotare i comizi del leader di un partito politico regolarmente iscritto alla gara delle prossime elezioni regionali.
Perché dunque la condanna, anche quando è ferma e sincera, non va mai oltre le solite frasi di circostanza, e quasi sempre è preceduta da una presa di distanza, del tipo «premesso che tutto mi divide dalle idee di Salvini, difendo il suo diritto a manifestarle», come fa spesso lo stesso ministro dell’Interno, confondendo il suo ruolo istituzionale con quello di diretto concorrente elettorale della Lega? Perché, in realtà, sotto sotto, in fondo in fondo, molti di noi pensano che Salvini un po’ se l’è cercata, che il suo linguaggio è troppo provocatorio, che denigra e istiga, che è irresponsabile e politicamente scorrettissimo. E invece no. Anche se fosse tutte queste cose, bisogna che ci convinciamo che il discorso politico della Lega non è fuori dal perimetro dei valori di una democrazia, e dunque ha pari dignità con tutti gli altri, e dunque è nel solo potere degli elettori censurarlo.
Dobbiamo riconoscere che lui e i suoi seguaci hanno il diritto non solo di dire ciò che dicono, ma anche di pensare ciò che pensano. In molti altri paesi europei forze politiche nient’affatto eversive sostengono tesi non molto dissimili da quelle di Salvini sugli immigrati (il partito di Cameron per esempio) o sull’Europa (il movimento di Alternativa per la Germania) e a nessuno viene in testa di lanciargli contro uova e bottiglie, o di pensare che se la sono cercata. Se ragioneremo così, se consentiremo a Salvini una campagna elettorale non braccata da manipoli di agitatori sempre a caccia di presunti fascisti pur di sentirsi vivi, allora potremo anche respingere nel dibattito pubblico ciò che in Salvini non ci piace, ciò che ci preoccupa, ciò che lo rende geneticamente minoritario, per quanti voti possa prendere.

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