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Yes Scotland! Oggi il referendum, soffia il vento indipendentista in Europa?

Oggi il popolo scozzese vota se rimanere parte del Regno Unito, insieme ad Inghilterra, Galles ed Irlanda del Nord, oppure diventare uno nuovo Stato indipendente nel panorama europeo. Saranno oltre quattro milioni gli elettori chiamati alle urne per mettere una croce di libertà.

 
«Should Scotland be an independent country?», ovvero «La Scozia deve essere un Paese indipendente?»: questo è il quesito che gli scozzesi troveranno sulla scheda referendaria. Attendiamo il responso della consultazione, ma qualunque sia l'esito di questo referendum sarà importante e modello da seguire per altre nazioni d'Europa. All'orizzonte ci sono i referendum indipendentisti anche in Catalunya e Veneto ed autonomista in Lombardia. Che sia l'alba della nuova Europa dei popoli? Desio in Padania sostiene il SI all'indipendenza scozzese, YES SCOTLAND!
 
La bandiera della Scozia
Il governo italiano si è dichiarato apertamente contrario all'indipendenza scozzese. Ecco la posizione del viceministro degli Esteri Lapo Pistelli: "Ovviamente mi auguro che vinca il no. Sarebbe semplicemente un segnale simbolico di DISINTEGRAZIONE". Anche l'ex presidente del consiglio Enrico Letta si lascia andare al suo indipendenza-pensiero, che - senza offesa alcuna - strappa più di una risata.  Secondo lui, una vittoria dei "sì" al referendum per la Scozia indipendente avrebbe conseguenze nefaste sull'Unione europea, molto simili a quelle scatenate dall'attentato di Sarajevo nel 1914. Non vogliamo commentare questa sua affermazione, siamo sicuri che più di un ghigno sia già comparso sulle vostre labbra. Enrico, stai sereno. Più che ad avere timori derivanti dalla situazione oltremanica, sposta le tue preoccupazioni dalla parte opposta. Il fronte caldo è più ad est.
 

Articolo di Paolo Brera, da "La Padania" di oggi.
Dagli anni Quaranta del secolo scorso in poi, la formazione di nuovi Stati in Europa è stata invariabilmente il risultato della frantumazione di precedenti entità federali, che il potere centrale non era più in grado di tenere appiccicate insieme. In Scozia non è così, e il referendum costituirà un precedente per tutta l'Europa. Il Regno Unito non è propriamente uno Stato federale e non c'è dubbio che il governo centrale sarebbe sicuramente in grado, solo che lo volesse, di reprimere un tentativo di indipendenza. Ma non ha scelto di farlo. L'atteggiamento di Londra è stato, in effetti, illuminato. Il diritto degli scozzesi ad esprimersi con un referendum non è stato messo in discussione (mentre il governo spagnolo nega lo stesso diritto alla Catalogna). Westminster inoltre ha già annunciato che ne rispetterà l'esito. Le nazioni non titolari di uno Stato sono entità sempre un po' mal definite, ma nessuno dubita che gli scozzesi siano una nazione, con una sua cultura, due lingue nazionali oltre all'inglese (il gaelico scozzese e lo scots), e una lunga tradizione storica. Queste caratteristiche - benché mai incontestate - si incontrano anche in altre parti d'Europa. Bretagna, Catalogna, contea di Nizza, Corsica, Fiandre, Galizia, isole Frisoni, Lusazia, Paese basco, Transnistria, Vallonia: l'elenco è lungo, e beninteso comprende, last but not the least, anche il Veneto e la Lombardia. Se il quadro europeo reggerà, tutte queste "nazioni regionali" potranno a loro volta pronunciarsi, segnando, in alcuni casi, l'eclissi dello Stato-nazione. Non sarà necessario che la Scozia si dichiari indipendente, basterà il fatto puro e semplice che in proposito è stato tenuto un referendum. Ovvio che non tocca a noi (né a nessun altro) dire agli scozzesi come votare. È loro diritto decidere senza interferenze se per la nazione è meglio rimanere parte del Regno Unito oppure «andare con le sue» e giocarsi la partita dell'indipendenza. Ma il semplice fatto che oggi si ponga il quesito è il risultato di un'evoluzione storica semisecolare. La Scozia è rimasta per secoli uno Stato distinto, che si è dovuto difendere più di una volta dall'invadenza del suo vicino meridionale (Sasainn in gaelico, Inghilterra in italiano) finché, il 1° marzo 1707, entrarono in vigore gli Atti di Unione e i due parlamenti furono unificati. Da quel momento in poi la storia della Scozia e quella dell'Inghilterra sono andate avanti di pari passo, con un notevole contributo scozzese alla storia comune. L'apporto scozzese non è stato affatto piccolo, ma le storie ufficiali lo sottovalutano parecchio. La Rivoluzione industriale "inglese", per esempio, è stata in larghissima misura opera di scozzesi. Glasgow, nel diciannovesimo secolo, era la seconda città dell'Impero Britannico. La Scozia ha dato alla Gran Bretagna molti uomini politici, intellettuali e premi Nobel. Ma non c'è dubbio che a comandare fossero gli inglesi, e l'autonomia concessa alla Scozia è sempre stata scarsa. Perfino sul piano strettamente linguistico le lingue nazionali hanno sempre avuto poco spazio. La fine dell'Impero Britannico, la crisi dell'industria, e l'emergere del Leviatano finanziario londinese hanno gradatamente dissolto, a partire dalla metà del secolo scorso, i sentimenti di unità fra i due popoli. Il petrolio del mar del Nord ha costituito un potente incentivo per l'indipendenza della Scozia, nelle cui acque territoriali si trova il 90% di quegli idrocarburi. Il governo centrale britannico ha accettato una dose sempre maggiore di autonomia per le realtà nazionali minori. È la cosiddetta devolution, ma non si spinge molto in là. Nel 2011 lo Scottish National Party (Snp), un partito indipendentista, conquista il 45,4% dei voti e forma un governo monocolore che presto indice il referendum di oggi. Nella visione dei separatisti, la Scozia è un Paese sfruttato economicamente dall'Inghilterra, e in particolare da Londra, questo gigantesco verminaio di finanza predatoria. Sul piano politico, una nazione che negli ultimi cinquant'anni ha votato quasi sempre a sinistra è stata quasi sempre retta da governi conservatori, che stanno smantellando lo Stato sociale. Per di più, mentre l'atteggiamento degli scozzesi è fortemente filoeuropeo, quello britannico è euroscettico o euro-separatista. Gli unionisti obiettano che in realtà scozzesi e inglesi "stanno meglio insieme", perché solo il Regno Unito assicura le dimensioni economiche per la crescita e le risorse per lo Stato sociale. Che succede se oggi gli elettori voteranno per l'indipendenza? Alex Salmond e David Cameron saranno costretti a intavolare trattative, per definire alcuni punti del "divorzio" che si presentano come controversi. Il primo è la sterlina, che Edimburgo vuole continuare a usare in regime di unione monetaria, mentre Londra non è d'accordo. Il secondo è la ripartizione del debito pubblico britannico: ciascuno dei due partner ha interesse ad addossarne all'altro la più gran parte possibile. Il terzo è l'Unione Europea: la Scozia ritiene di non cessare di farne parte con il distacco dall'Inghilterra, il Regno (un po' meno) Unito minaccia di intralciare i negoziati ricorrendo, se necessario, anche al diritto di veto. In realtà, è ben difficile che il veto venga esercitato, dato che non conviene a nessuno. Ma Londra potrebbe tenere di riserva la minaccia per risolvere un problema che le sta molto a cuore: il destino della base dei sottomarini con i missili Trident che si trova oggi in Scozia. Un capitolo a parte della storia del referendum è l'influenza che un voto indipendentista potrebbe esercitare su altre nazioni comprese nel Regno Unito, come l'Irlanda del Nord o il Galles. Non c'è dubbio che l'indipendenza scozzese ringalluzzirebbe i nazionalisti celti, ma fino a che punto è impossibile predire. E se invece gli scozzesi decideranno di rimanere nel Regno Unito? È molto probabile che in questa eventualità il governo centrale concederebbe una misura maggiore di devolution, per smorzare i toni del confronto con i nazionalisti. Ma è improbabile che questo basti a spegnere il fermento sulle idee nazionaliste e indipendentiste. La partita dell'indipendenza non si fermerebbe a un primo insuccesso dell'Snp: dopo questo referendum, se ne svolgerebbero sicuramente altri. Il voto che esprimerà ciascuno scozzese dipenderà dalla sua autoidentificazione. Nel mondo di oggi, le identità sono di rado completamente distinte. Le tre identità principali degli scozzesi sono scozzese, britannico, europeo. La rissa è sulle prime due. Non fuori, sulle piazze, come succede per i tifosi ultrà. Ma dentro la coscienza di ciascuno. Lo Scottish Social Attitudes Survey 2014 è andato a frugare nella psicologia della gente formulando domande scomode. «Se doveste fare una scelta, siete più scozzesi o più britannici?» ha chiesto. La risposta "scozzesi" ha riportato il 65% delle preferenze. Mica poco. Solo che nel 2011 rispondeva così il 75%. I "britannici", nello stesso arco di tempo, sono passati dal 15 al 23%. Fàilte gu Alba, benvenuti in Scozia, ma con ogni evidenza anche gu Breatainn Mhòr, in Gran Bretagna. Nel lontano 1992, quando erano partiti i sondaggi, il 40% degli interrogati aveva risposto di sentirsi "più scozzese che britannico". Nell'ultimo sondaggio, solo il 26%. Coloro che si sentono "in egual misura scozzesi e britannici" sono il 32%. Come voteranno tutti costoro? Non lo sappiamo. Gli ultimi sondaggi dicono che il no vincerà 53 a 47, ma non è sicuro che siano affidabili. A voti scrutinati, l'Europa potrebbe contare uno Stato di più, il Rìoghachd na h-Alba ovvero Regno di Scozia - sì, perché gli scozzesi sono affezionati alla regina Elisabetta, e anche con l'indipendenza lascerebbero in piedi l'unione personale delle monarchie.

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