Tra i primi compiti del nuovo governo ci sarà quello di gestire la bomba dei 200 milioni di debiti lasciati dagli ex Ds che potrebbero essere pagati dallo Stato. E chissà se Pier Luigi Bersani, nel caso diventasse premier, si spenderà per evitare il salasso ai contribuenti o invece favorirà la soluzione tombale del peccato originale del Partito democratico, cioè l'aver lasciato alle sue spalle una montagna di debiti verso le banche dovuti alla componente Ds di cui il segretario faceva parte. Breve riepilogo di quanto rivelato dal Fatto domenica scorsa.
Quando è nato il Pd, il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, ha trasferito lo sterminato patrimonio immobiliare del partito a “fondazioni” locali, lontano dal Pd e dai creditori. A garanzia dei debiti non c'erano quindi più case e palazzi, ma solo una fideiussione dello Stato sui finanziamenti che, tra interessi e mora, sono arrivati quasi a 200 milioni. Se le banche non riusciranno a far annullare le donazioni degli immobili, come chiedono in tribunale a Roma, toccherà al contribuente ripianare la montagna debitoria lasciata dai Democratici di sinistra.
PER CAPIRE QUALE sia il cavillo che obbliga lo Stato ad accollarsi pure i debiti di un partito che, negli anni, ha già ricevuto decine di milioni di rimborsi elettorali, bisogna partire da un documento. Due paginette del dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, firmate dall'allora capo dipartimento, quel Mauro Masi che poi Silvio Berlusconi avrebbe messo alla guida della Rai. Le date sono importanti: il documento è del 25 febbraio 2000, a Palazzo Chigi c’è Massimo D'Alema, che dei Ds era il presidente e che in quegli anni ha seguito in prima persona la ristrutturazione dell'enorme debito ex-Pci con la Banca di Roma di Cesare Geronzi.
Il documento della Presidenza del Consiglio riferisce che il 20 dicembre 1999 è stata accolta la richiesta degli istituti di credito “finanziatori dei mutui agevolati di cui all'oggetto, relativa al subentro del Pds-Ds nella corresponsione delle rate d'ammortamento dei medesimi finanziamenti in luogo de l'Unità spa”. E, quel che più conta, Palazzo Chigi “ha pertanto disposto il trasferimento della garanzia dello Stato ai finanziamenti definiti dalle norme di cui in oggetto”. Le banche coinvolte in quel momento sono San Paolo Imi, capofila, il Mediocredito di Roma (parte della Banca di Roma), la Bnl, Efibanca e il Banco di Napoli.
TREDICI ANNI dopo quella storia non è ancora finita. È in corso una causa civile tra le banche creditrici e i Ds, giudizio in cui si è costituito anche l'avvocato di Barletta Antonio Corvasce che, avendo dato continuità all'attività politica dei democratici di sinistra nel 2007, contesta la legittimità degli atti di Piero Fassino e Ugo Sposetti, rispettivamente segretario e tesoriere a vita dei Ds. Nelle carte di quella causa ci sono cose interessanti.
L'avvocato Girolamo Bongiorno, per conto di Efibanca, scrive che grazie al provvedimento di Palazzo Chigi “il debito scaduto e a scadere relativo al richiamato finanziamento e pari a lire 19.020.789.129 (euro 9.823.417,77) veniva ristrutturato ed accollato in solido in capo ai partiti Partito democratici di Sinistra e Democratici di Sinistra con liberazione della originaria mutuataria società L'Unità spa, salvi e impregiudicati la garanzia primaria e solidale dello Stato”, parametri “apposi - tamente confermati” da una legge del 1999 e dal provvedimento specifico di Palazzo Chigi. D'Alema, cercato ieri dal Fatto , non ha voluto commentare. É cronaca, non archeologia politica.
È prevista per marzo, subito dopo le elezioni, la prossima riunione tra l'avvocato Bongiorno, in rappresentanza del pool delle banche creditrici, e Ferruccio Sepe, il capo del dipartimento Editoria di Palazzo Chigi, che non è per nulla rassegnato a sottoporre il contribuente al sacrificio in nome dell'eredità post comunista: “Le banche chiedono di poter escutere la garanzia sull'intero credito, ma non sarà così facile per loro. Noi la pensiamo diversamente sulle condizioni a cui scatta. È quasi certo che ci sarà un passaggio in contenzioso”, dice Sepe al Fatto . Tradotto: le banche dovranno rassegnarsi a non avere tutti i 200 milioni, si cercherà una mediazione. La garanzia pubblica sul credito agevolato legato ai giornali è stata abolita nel 2007, ma non sono mai stati stanziati fondi per risolvere le pendenze del passato. Anche perché c'è un solo caso: quello dei Ds, nato da un provvedimento del governo D'Alema. E che adesso potrebbe trovare il suo epilogo sotto il governo Bersani.
di Stefano Feltri da "Il fatto quotidiano"