Ha festeggiato lo scorso fine settimana i suoi 50 anni di vita, insieme a tutti i volontari e i tanti desiani che non hanno voluto mancare all'appuntamento. La Croce Rossa desiana ha tagliato il traguardo del mezzo secolo di vita, ma da qualche settimana all'esterno del quartier generale di via Milano sono comparsi degli striscioni di protesta. La causa sarebbe da imputare alla riforma della CRI voluta dal governo Monti. Scopriamo di che cosa si tratta.
La sede Croce Rossa di Desio |
Non sparate sulla Croce Rossa!
di Massimo Polledri, deputato Lega Nord
Mai detto popolare potrebbe essere più azzeccato e pertinente. In effetti il decreto che il Ministro Balduzzi ha presentato più che puntare a riorganizzare la Croce Rossa sembra mirare a privatizzarla e a sfoltirne il personale.
Procedendo per fasi e ricordando come il riordino dell’ente sia un sentiero strettissimo percorso anche dai governi precedenti, occorre sottolineare come la croce Rossa Italiana, ente pubblico rientrante nel novero delle associazioni della Croce Rossa Internazionale (addirittura l’ente italiano sarebbe nato due mesi prima del Comitato Internazionale, originato dalla Convenzione di Ginevra del 1864), abbia lo scopo di fornire assistenza sanitaria e sociale sia in tempo di pace che di conflitto.
Malgrado gli altissimi principi che ispirano le sue attività, l’ente CRI non si distingue altrettanto positivamente per la sua gestione amministrativo-finanziaria: negli ultimi 25 anni esso è stato commissariato per 17 e tutti i commissari hanno miseramente fallito l’obiettivo di risanare il pesante debito, una voragine che ha inghiottito circa 355 milioni di euro.
Anche il governo dei tecnici, ovviamente, intende provarci e, nel tentativo di sgravare dal bilancio dello Stato un ente assai costoso, invece di operare con il bisturi si è armato di cesoie proponendo tagli e piani di riordino a dir poco scriteriati.
Per esempio, il decreto del Ministro Balduzzi prospetterebbe una sostanziale privatizzazione della CRI dal 2017 attraverso la scissione tra una bad company e una good company: la prima, pubblica, si terrebbe i debiti e dovrebbe gestire la liquidazione di oltre 4000 dipendenti (tra cui precari, civili e militari); la seconda sarebbe invece un’associazione privata, di promozione sociale, che beneficerebbe del contributo dello Stato.
In questi mesi di incontri, di bozze, di proposte emendative, molti elementi non quadravano e, ad onor del vero, ancora non quadrano: se ciò che spinge il governo a riformare l’ente è il criterio della economicità, come mai si è proposto di destinare 120 miliardi ad un’associazione privata? Se, per statuto, la CRI svolge determinati servizi, per i quali percepisce un contributo dal Servizio Sanitario Nazionale, perché è costretta a concorrere con gare pubbliche e non è invece affidataria diretta di tali servizi? Che fine farà l’ingente patrimonio immobiliare, frutto in buona parte di donazioni volontarie? E che fine faranno i lavoratori?
Questi sono gli interrogativi di fondo dai quali hanno preso le mosse le nostre considerazioni e le nostre obiezioni ad accogliere sic et simpliciter il testo proposto: il servizio che la CRI svolge (si pensi alle emergenze, ai 118, agli interventi in contesti internazionali) merita ulteriori approfondimenti che indichino la via della gestione virtuosa.
A conti fatti non servirebbe poi molto, basterebbe rispettare i dettami dello Statuto: oltre a sottolineare l’importanza della finalizzazione del contributo statale, si potrebbe intanto chiedere alle Regioni di intervenire per l’affidamento diretto dei servizi.
Il periodo di vacche magre richiama tutti ad una maggiore assunzione di responsabilità: dovrebbe essere finito infatti il tempo delle corsie preferenziali e dei trattamenti di favore per alcuni soggetti. Per fare un esempio, nella consapevolezza che qualcuno storcerà il naso, non è più tollerabile un sistema in cui alle tanto care coop rosse sia concesso trasportare malati per poi dileguarsi in caso di emergenze, lasciando altri con il cerino in mano, o no?
Ciò che invece si evince dalla proposta del ministro Balduzzi è la volontà dello stesso governo di deresponsabilizzarsi trasformando l’ente in una ONG e lasciandolo ad un destino nient’affatto roseo.
Qualche condizione, dopo mesi di discussione, la Lega l’ha strappata; non sappiamo se basterà ma continueremo a vigilare perché i valori che la Croce Rossa infonde nella società durante il suo servizio rappresentano un patrimonio da custodire gelosamente.
Procedendo per fasi e ricordando come il riordino dell’ente sia un sentiero strettissimo percorso anche dai governi precedenti, occorre sottolineare come la croce Rossa Italiana, ente pubblico rientrante nel novero delle associazioni della Croce Rossa Internazionale (addirittura l’ente italiano sarebbe nato due mesi prima del Comitato Internazionale, originato dalla Convenzione di Ginevra del 1864), abbia lo scopo di fornire assistenza sanitaria e sociale sia in tempo di pace che di conflitto.
Malgrado gli altissimi principi che ispirano le sue attività, l’ente CRI non si distingue altrettanto positivamente per la sua gestione amministrativo-finanziaria: negli ultimi 25 anni esso è stato commissariato per 17 e tutti i commissari hanno miseramente fallito l’obiettivo di risanare il pesante debito, una voragine che ha inghiottito circa 355 milioni di euro.
Anche il governo dei tecnici, ovviamente, intende provarci e, nel tentativo di sgravare dal bilancio dello Stato un ente assai costoso, invece di operare con il bisturi si è armato di cesoie proponendo tagli e piani di riordino a dir poco scriteriati.
Per esempio, il decreto del Ministro Balduzzi prospetterebbe una sostanziale privatizzazione della CRI dal 2017 attraverso la scissione tra una bad company e una good company: la prima, pubblica, si terrebbe i debiti e dovrebbe gestire la liquidazione di oltre 4000 dipendenti (tra cui precari, civili e militari); la seconda sarebbe invece un’associazione privata, di promozione sociale, che beneficerebbe del contributo dello Stato.
In questi mesi di incontri, di bozze, di proposte emendative, molti elementi non quadravano e, ad onor del vero, ancora non quadrano: se ciò che spinge il governo a riformare l’ente è il criterio della economicità, come mai si è proposto di destinare 120 miliardi ad un’associazione privata? Se, per statuto, la CRI svolge determinati servizi, per i quali percepisce un contributo dal Servizio Sanitario Nazionale, perché è costretta a concorrere con gare pubbliche e non è invece affidataria diretta di tali servizi? Che fine farà l’ingente patrimonio immobiliare, frutto in buona parte di donazioni volontarie? E che fine faranno i lavoratori?
Questi sono gli interrogativi di fondo dai quali hanno preso le mosse le nostre considerazioni e le nostre obiezioni ad accogliere sic et simpliciter il testo proposto: il servizio che la CRI svolge (si pensi alle emergenze, ai 118, agli interventi in contesti internazionali) merita ulteriori approfondimenti che indichino la via della gestione virtuosa.
A conti fatti non servirebbe poi molto, basterebbe rispettare i dettami dello Statuto: oltre a sottolineare l’importanza della finalizzazione del contributo statale, si potrebbe intanto chiedere alle Regioni di intervenire per l’affidamento diretto dei servizi.
Il periodo di vacche magre richiama tutti ad una maggiore assunzione di responsabilità: dovrebbe essere finito infatti il tempo delle corsie preferenziali e dei trattamenti di favore per alcuni soggetti. Per fare un esempio, nella consapevolezza che qualcuno storcerà il naso, non è più tollerabile un sistema in cui alle tanto care coop rosse sia concesso trasportare malati per poi dileguarsi in caso di emergenze, lasciando altri con il cerino in mano, o no?
Ciò che invece si evince dalla proposta del ministro Balduzzi è la volontà dello stesso governo di deresponsabilizzarsi trasformando l’ente in una ONG e lasciandolo ad un destino nient’affatto roseo.
Qualche condizione, dopo mesi di discussione, la Lega l’ha strappata; non sappiamo se basterà ma continueremo a vigilare perché i valori che la Croce Rossa infonde nella società durante il suo servizio rappresentano un patrimonio da custodire gelosamente.